[D.P.C.M.17/12/2020] Decreto attuativo del Reddito di libertà per le donne vittime di violenza

E’ stato finalmente pubblicato sulla G.U. n. 172 del 20 luglio 2021 il D.P.C.M., firmato già nel dicembre 2020, recante le modalità attuative e i criteri di riparto del Fondo per il reddito di libertà delle donne vittime di violenza.

Tra le misure emergenziali introdotte per la pandemia da COVID-19, con l’art. 105-bis del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020, era stato costituito, all’interno del già esistente “Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità” (art. 19, c. 3, d.l. 4 luglio 2006 n. 223, conv. con modd. dalla l. 4 agosto 2006, n. 248), l’apposito “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza”, con una dotazione statale prevista di 3 milioni di euro, allo specifico fine “di contenere i gravi effetti economici, derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, in particolare per quanto concerne le donne in condizione di maggiore vulnerabilità, nonché di favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà”.
Soltanto oggi, sono state pubblicate in Gazzetta ufficiale le concrete modalità di accesso a tale Fondo, stabilite a dicembre dello scorso anno.
Il DPCM riconosce un contributo, denominato “Reddito di libertà”, nella misura massima di Euro 400 pro capite al mese e per un massimo di 12 mensilità, di cui possono beneficiare le “donne vittime di violenza, sole o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza” (art. 3, c. 1).

La relativa istanza deve essere presentata dall’interessata all’INPS “sulla base del modello predisposto di un’autocertificazione” (art. 3, c. 4). L’INPS dovrà dunque predisporre e rendere disponibile il modello di domanda.
La domanda deve necessariamente essere corredata da due attestazioni.
La prima è la “la dichiarazione firmata dal rappresentante legale del Centro antiviolenza di cui al comma 1 che ha preso in carico la stessa, che ne attesti il percorso di emancipazione ed autonomia intrapreso” (art. 3, c. 4).
La seconda attestazione è costituita dalla “dichiarazione del servizio sociale professionale di riferimento, che ne attesti lo stato di bisogno legato alla situazione straordinaria o urgente“.
Le istanze non conformi alle modalità stabilite dal decreto e, quindi, anche quelle prive delle due attestazioni di corredo, non saranno prese in carico dall’INPS.

Il comma 5 del DPCM precisa che il contributo è “finalizzato a sostenere prioritariamente le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale nonché il percorso scolastico e formativo dei/delle figli/figlie minori” e “non è incompatibile con altri strumenti di sostegno come il Reddito di cittadinanza“.
E’ contemplata la possibilità che l’INPS revochi il contributo “qualora dovessero intervenire motivi ostativi al mantenimento dello stesso“, di cui, però, non sono specificati né i contenuti né le modalità.

Non può essere accolta più di una richiesta per ogni donna, nemmeno se presentata in altra Regione.

Le risorse statali saranno, infatti, distribuite alle Regioni in base ai dati Istat al 1° gennaio 2020 riferiti alla popolazione femminile residente nei comuni di ciascuna regione appartenente alla fascia di età 18-67 anni, secondo la tabella 1 allegata al presente decreto e ciascuna Regione potrà incrementarle con risorse proprie trasferite direttamente all’INPS.
L’Istituto è incaricato di fornire i dati statistici sulle prestazioni erogate e sui beneficiari.

Lascia un Commento