[C.E.D.U. 27/05/2021] Il Caso J.L. contro Italia e la condanna dello Stato per “seconda vittimizzazione”

Con la sentenza del 27 maggio 2021 della Prima Sezione, la Corte EDU ha condannato l’Italia per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e dell’integrità personale (art. 8 Convenzione) conseguente alla c.d. “seconda vittimizzazione” subita dalla ricorrente a seguito del procedimento penale nato dalla sua denuncia per una violenza sessuale di gruppo subita a Firenze nel 2008.

La Corte europea (Corte EDU, 27 maggio 2021, J.L. contro Italia, il cui testo integrale è disponibile in lingua francese su hudoc.echr.coe.it) ha stigmatizzato i passaggi della sentenza della corte d’appello fiorentina, che ha concluso il procedimento penale, ove venivano posti in ingiustificabile evidenza alcuni particolari della vita privata della vittima, come il colore della biancheria intima indossata, la sua bisessualità, le relazioni e i rapporti sessuali occasionali avuti prima dei fatti oggetto del processo. Tali aspetti erano irrilevanti rispetto al reato denunciato e dovevano rimanere estranei al giudizio sulla credibilità della dichiarante. Averli indagati e posti alla base della motivazione della sentenza ha costituito un’indebita intromissione nella vita privata della ricorrente.
Ne è conseguita una espressa censura nei confronti del linguaggio e delle argomentazioni utilizzate dalla corte d’appello, veicolanti, secondo la Corte EDU, i pregiudizi sul ruolo della donna che ancora esistono nella società italiana e che sono suscettibili di costituire un ostacolo alla protezione effettiva delle vittime di violenze di genere, pur nell’ambito di un quadro legislativo soddisfacente.
In altre parole, gli sforzi normativi di questi anni (la Corte EDU cita espressamente la l. 15 ottobre 2013, n. 119 di conversione del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, sul contrasto della violenza di genere, c.d. legge sul femminicidio, e la l. 19 luglio 2019, n. 69, sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, c.d. codice rosso) hanno consentito all’ordinamento penale italiano di avanzare verso una migliore tutela delle vittime e sono stati riconosciuti, a livello internazionale, come appropriati e validi. Ma non sono da soli sufficienti: rimane cogente la necessità di una seria riflessione a livello culturale per il superamento di certi stereotipi di genere ancora molto radicati, persino tra i giudici.

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