[Trib. Naz. Sport, lodo del 15 novembre 2011] Spunti sulla arbitrabilità delle controversie relative ad interessi legittimi.

Con il lodo arbitrale in commento (reperibile in www.judicium.it), il Tribunale Nazionale per lo Sport – adito da Juventus Football Club S.p.A. perché emettesse una pronuncia di revoca per illegittimità del provvedimento del Commissario Straordinario F.I.G.C. del 27/07/2006, con cui veniva assegnato il titolo di Campione d’Italia a F.C. Internazionale Milano S.p.A.; nonché del provvedimento del Consiglio Federale F.I.G.C., emanato dopo un esposto presentato da Juventus F.C. S.p.A. alla Procura Federale, mediante il quale era stata respinta una precedente richiesta di revoca del suddetto atto e del titolo sportivo con quest’ultimo assegnato – è intervenuto, tra l’altro, in materia di compromettibilità in arbitri delle controversie aventi ad oggetto posizioni giuridiche di interesse legittimo.

Come noto, i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono attualmente regolati dalla L. n. 280 del 2003, di conversione del D.L. n. 230 del 2003.

In breve, sulla base di tale testo normativo, è possibile distinguere tra controversie di rilevanza meramente sportiva, ossia relative a situazioni giuridiche soggettive tutelate esclusivamente dall’ordinamento dello sport, e controversie di rilevanza anche per l’ordinamento statale, essendo le relative posizioni giuridiche previste e protette pure da quest’ultimo. Le prime, disciplinate dall’art. 2 della L. n. 280/2003, sono, dal punto di vista della tutela giurisdizionale, appannaggio esclusivo del sistema di giustizia sportiva; le seconde invece possono essere decise anche da organi giurisdizionali statali. In tale prospettiva, l’art. 3 della citata legge prevede che “esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, e’ devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso e’ fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive (…)”.

È possibile allora schematizzare il sistema di giustizia lato sensu sportiva che emerge dagli artt. 2 e 3 della L. n. 280/2003 nei seguenti termini:

 

  • vi sono controversie di mera rilevanza sportiva, sottoposte agli organi giurisdizionali sportivi;
  • vi sono liti di natura patrimoniale (di rilevanza anche statale) tra società, associazioni e atleti, rispetto alle quali vige la giurisdizione del G.O.;
  • vi sono poi controversie, di rilevanza anche statale, generate da attività pubblicistica del CONI o delle Federazioni sportive, devolute alla giurisdizione (esclusiva) amministrativa;
  • è poi fatta salva l’eventuale sussistenza di clausole compromissorie negli statuti o nei regolamenti del CONI e delle Federazioni. Si tratta di una clausola di salvezza che astrattamente può estendersi sia alle controversie patrimoniali, sia a quelle pubblicistiche;
  • inoltre il G.A., nelle materie riconducibili alla sua giurisdizione esclusiva, può essere adito solo dopo che siano stati esauriti i gradi della giustizia sportiva (c.d. pregiudizialità sportiva).

 

Lo statuto del CONI del 30 settembre 2011 prevede due organi di giustizia sportiva: l’Alta Corte di Giustizia Sportiva di cui all’art. 12 bis e il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport di cui all’art. 12 ter. L’Alta Corte è, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 1, l’organo di ultimo grado della giustizia sportiva (pertanto normalmente interviene dopo che si siano pronunciati gli organi giurisdizionali federali), per le controversie relative a diritti indisponibili o per le quali non sia stata pattuita la competenza arbitrale. Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport  (in seguito, Tribunale Arbitrale) ex art. 12 ter, comma 1, ha competenza arbitrale (in quanto sia prevista dagli statuti o dai regolamenti federali) per le controversie che oppongono tesserati alla Federazione, a condizione che siano esauriti i gradi “giustiziali” interni alla Federazione stessa o si tratti di decisioni non soggette a impugnazione.

In merito al riparto di competenza tra Alta Corte di Giustizia Sportiva e Tribunale Arbitrale una decisione dell’Alta Corte del 23 settembre 2011 ha statuito che “indubbiamente la competenza dell’Alta Corte è alternativa a quella del Tribunale di arbitrato … e si basa essenzialmente sul carattere indisponibile delle posizioni giuridiche sportive (diritti e interessi) oggetto della specifica controversia sportiva…”.

Inoltre, ai sensi del comma 2 dell’art. 12 bis dello statuto CONI, “(…) il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia deve essere tenuto in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva”.

Nel caso di specie il Tribunale Arbitrale doveva valutare, tra l’altro, se sussistesse la propria competenza in merito ad una controversia, bensì appartenente all’ambito sportivo, ma derivante da attività pubblicistica della Federazione Italiana Giuoco Calcio.

Sicché, volendosi attenere al precedente dell’Alta Corte del 23 settembre 2011, l’istituzione arbitrale ha cercato di ricostruire la natura disponibile ovvero indisponibile delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte, al fine di stabilire se vi fosse o meno la propria potestas iudicandi.

Ed invero il Tribunale Arbitrale non ha dato rilievo alcuno alla distinzione, a tale fine, tra diritti e interessi legittimi (di cui alla decisione dell’Alta Corte già richiamata), il carattere disponibile o indisponibile dovendo essere accertato in concreto, a prescindere dalla qualificazione formale della situazione giuridica coinvolta. Così, in quest’ottica, anche l’interesse legittimo potrebbe ben ritenersi, almeno teoricamente, disponibile – quindi compromettibile in arbitri – atteso che ai sensi dell’art. 806, comma 1, c.p.c. “le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritto indisponibili”.

Com’è noto, dottrina e giurisprudenza tradizionali escludono la disponibilità dell’interesse legittimo, attesa la sua stretta correlazione con l’esercizio di una potestà pubblicistica, la quale non potrebbe essere soggetta ad atti disposizione in virtù delle esigenze di tutela dell’interesse pubblico (stessa esigenza, se si vuole, che pure sul piano privatistico giustifica ad esempio l’indisponibilità delle posizioni giuridiche nell’ambito del diritto di famiglia e dei diritti della personalità).

Non è quindi il caso – a parere di chi scrive – di passare in rassegna le ragioni giuridiche di una siffatta impostazione ermeneutica (che è ben ricostruita nei suoi passaggi fondamentali in Ludovici G., Le posizioni giuridiche di interesse legittimo possono integrare ipotesi di situazioni giuridiche disponibili ai sensi dell’art. 1966 Cod. Civ. e quindi astrattamente compromettibili ai sensi degli artt. 806 e ss. Cod. Proc. Civ., in www.judicium.it)

Tuttavia non sono mancate opinioni discordanti sia in dottrina (come riportato da Goisis F., La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 233, nota 2), sia in giurisprudenza. Così, per una non più recente sentenza della Suprema Corte (Cass., SS.UU., 22 gennaio 1982, n. 427, in Riv. Giur. Ed., 1982, I, 611 e ss.), nulla vieta nell’ordinamento che l’interesse legittimo possa ritenersi disponibile, quindi oggetto di transazione; per Tar Lazio, sez. III ter, 3 giugno 2005, n. 4362, la natura disponibile dell’interesse legittimo sarebbe ricavabile in particolare dall’art. 11 L. n. 241 del 1990 (sul procedimento amministrativo), ove sono disciplinati gli accordi tra P.A. e privati integrativi o sostitutivi di provvedimenti amministrativi.

Il lodo del Tribunale Arbitrale oggetto di commento pertanto si inserisce nel solco tracciato da tale corrente minoritaria, giacché muove dal presupposto che l’interesse legittimo non può essere considerato indisponibile a prescindere, occorrendo invece una valutazione in concreto della natura disponibile o indisponibile della situazione giuridica soggettiva. Si ricordi che sulla base dell’art. 1966, comma 2, c.c., in materia di transazione, l’indisponibilità dei diritti (che cagionerebbe l’eventuale nullità della fattispecie contrattuale ex artt. 1965 e ss. c.c.) può essere per natura o per espressa disposizione di legge.

La valutazione in concreto finalizzata al riscontro della disponibilità dell’interesse legittimo, ad avviso del Tribunale Arbitrale, deve peraltro tenere in considerazione quella sorta di bilateralità che caratterizza tale situazione giuridica. Infatti essa consiste, in termini generali, in una posizione di vantaggio di un soggetto privato rispetto ad un’utilità materiale (o bene della vita) sottoposta all’esercizio di un pubblico potere. Sicché ai fini della arbitrabilità – se mal non si comprende il ragionamento del collegio arbitrale – si tratta di capire se la disponibilità sussista da entrambi i lati: da quello del soggetto privato e da quello del titolare del pubblico potere. Da questo punto di vista, l’istituzione arbitrale sportiva afferma che può ben parlarsi di disponibilità dell’interesse legittimo solo con riferimento alla posizione del soggetto privato (nella fattispecie, la Juventus F.C. S.p.A.), mentre è viceversa indisponibile tale interesse nell’ottica dell’ente pubblico (la FIGC).

In sostanza la Juventus F.C. S.p.A. ha la facoltà di disporre della propria pretesa a chiedere la revoca dei provvedimenti federali contestati, potendo rinunciare all’istanza oppure optare per un accordo transattivo, mentre il soggetto pubblico non beneficia di analoga facoltà, avendo esercitato con l’emanazione dei provvedimenti impugnati una potestà pubblicistica volta al perseguimento di un interesse pubblico, e non esistendo nell’ordinamento una norma che dia fondamento all’esercizio del potere di revoca invocato, circostanza che contrasta col principio di tipicità dei poteri amministrativi.

La lettura propugnata dal collegio arbitrale designato dal Tribunale Arbitrale dà nuova linfa al dibattito relativo alla arbitrabilità delle controversie in materia di interessi legittimi. È fuor di dubbio che, in tale ambito, uno dei dati normativi più ambigui è rappresentato dalla clausola di salvezza di cui all’art. 3 della L. n. 280/2003, laddove la si voglia ritenere estesa anche ad aventuali clausole compromissorie concernenti controversie pubblicistiche.

Tuttavia in tale quadro non può essere trascurata l’autorevole opinione (Luiso F.P., Il Tribunale Nazionale per lo Sport, www.judicium.it) secondo la quale, nell’ambito del rapporto tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, l’autonomia di cui gode il primo rispetto al secondo si caratterizza per l’irrilevanza agli occhi dello Stato di ciò che accade nel mondo dello sport; mentre nelle materie disciplinate da entrambi gli ordinamenti conta solo quanto previsto dall’ordinamento statale, sia mediante il diritto per così dire comune, sia mediante normative specifiche come la L. n. 280/2003. Sicché la clausola di salvezza ex art. 3 della L. n. 280/2003 opera solo se le clausole compromissorie in essa contemplate siano idonee, sulla base della normativa statale, a sottrarre alla giurisdizione amministrativa controversie che altrimenti le apparterrebbero.

In questo senso il fondamento normativo decisivo sarebbe l’art. 12 D.lgs.. n. 104 del 2010 (codice del processo amministrativo, che conferma quanto già previsto dall’art. 6 L. n. 205 del 2000), laddove ammette l’arbitrato rituale di diritto nelle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. Pertanto sarebbero fatte salve solo le clausole compromissorie che possono essere considerate come tali dall’ordinamento dello Stato, e cioè quelle relative a diritti soggettivi, atteso che l’art. 12 del codice del processo amministrativo, non menzionando gli interessi legittimi, impedirebbe la compromettibilità di essi.

Inoltre, sulla base della tesi prevalente, l’eventuale lodo emesso in materia di interessi legittimi, in quanto pronunciato su materia indisponibile, sarebbe inesistente, dunque assoggettabile ad una actio nullitatis in qualunque sede ed in qualunque momento.

 

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