Sulla professionalità dei magistrati

FONTI COSTITUZIONALI: − art. 101 Cost. − art. 102 Cost. − art. 104 Cost. − art. 106 Cost. − art. 107 Cost. − art. 108 Cost.

FONTI LEGISLATIVE: − Legge 13 aprile 1988, n.117, “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”; − Decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, “Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati”; − Decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, “Nuova disciplina dell’accesso in magistratura”; − Legge 24 ottobre 2006, n. 269, “Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario”;

DOTTRINA: − Associazione nazionale magistrati, XXVII Congresso, Documento conclusivo; − Associazione nazionale magistrati, CDC del 22 marzo 2003 sul maxiemendamento sull’ordinamento giudiziale, Comitato direttivo centrale; − Associazione nazionale magistrati, Codice deontologico; − Associazione nazionale magistrati, Sugli emendamenti del governo al disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario, in www.Diritto&Diritti.it , marzo 2003; − Associazione nazionale magistrati, Gli obiettivi della riforma dell’ordinamento giudiziario, un servizio efficiente, una giustizia di qualità; − GUARNIERI, Professionalità dei magistrati tra riforma Castelli e proposte dell’Unione; 20 marzo 2006; − Ordinamento giudiziario: sospesa la riforma Castelli, in www.altalex.it del 14 maggio 2007. 

 

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Allorquando un cittadino comune si accosta per la prima volta al mondo della giustizia viene colto spesso da un sentimento di delusione e di sconforto. Di fronte ad un’immagine fortemente idealizzata di una giustizia quasi utopica, in cui i tempi processuali sono brevi, la risposta è pronta, rapida ed agevolmente comprensibile, si contrappone di frequente una realtà assai diversa. La professionalità degli operatori del diritto costituisce allora una delle componenti più importanti della qualità dell’ordinamento italiano, con l’obiettivo primario di fornire al cittadino che si confronta con la giustizia un magistrato efficiente e qualificato.

In realtà, all’atto pratico, risulta difficile, se non impossibile, tracciare i confini esatti del concetto “professionalità”, perché appare sin dall’inizio una nozione indefinita e sfumata, fluida nel suo contenuto.

All’interno di tale “altisonante” nozione infatti rientrano molteplici fattori, anche soggettivi, difficilmente qualificabili a priori se non sulla base di uno schema generale ed astratto, incompleto nella sua definizione.

Sebbene con tali opportune premesse, si cercherà di delineare i confini del concetto professionalità o per lo meno di mettere in luce alcune delle sfumature che compongono un genus tanto ampio.

Che cos’è la professionalità allora? Che cosa cerca il cittadino che si accosta al mondo della giustizia? Quali sono le aspettative del cives di fronte alla dea Diche, simbolo di equità e giustizia?

 

In primo luogo, il magistrato deve essere qualificato e preparato negli studi giuridici. Può certamente apparire banale e scontato, ma il primo requisito di professionalità è dato proprio dalla preparazione giuridica, non solo in termini teorico – accademici, ma anche nell’applicazione pratica quotidiana. La competenza professionale si raggiunge attraverso gli studi iniziali, l’esperienza, oltre che attraverso una formazione permanente ed un costante aggiornamento, da cui il magistrato coscienzioso e responsabile non può certamente prescindere. Svolge le sue funzioni con diligenza ed operosità, conserva ed accresce il proprio patrimonio professionale, impegnandosi nell’aggiornamento e nell’approfondimento delle sue conoscenze nei settori in cui svolge la propria attività.

Sempre nell’ottica della preparazione giuridica, non può che essere salutato con favore l’eventuale progetto di allungare i tempi di formazione iniziale, sia con un periodo presso la nuova scuola di magistratura sia richiedendo per il concorso di ammissione titoli ulteriori rispetto alla laurea in giurisprudenza.

Del resto anche il principio del “reclutamento” per concorso pubblico agevola e favorisce un sistema giudiziario selezionato sulla base delle regole della meritocrazia, costituendo un pilastro fondamentale, di diretta derivanza costituzionale, dell’ordinamento giudiziario nazionale. La carta costituzionale delinea quindi un magistrato che non viene eletto e non è “eleggibile” dalla collettività, perché è al servizio e soggetto solo alla legge, sottraendosi e mettendosi al riparo dai “giochi” politici, cos’ come da qualsiasi interferenza esterna.

 

Da tempo, la magistratura ha comunque espresso la consapevolezza dell’esigenza di assicurare controlli sulla professionalità più efficaci, specie al fine di individuare e di allontanare dall’ordine o da specifiche funzioni coloro che non siano in grado di svolgerle in modo adeguato e credibile. Vi è consenso sul fatto che la professionalità dei magistrati debba essere periodicamente controllata, valutando ciò che essi fanno in concreto ad ampliando gli elementi di conoscenza sul loro lavoro. E’ su questa strada, oltre che su quella della formazione permanente, che va in primo luogo cercata la soluzione all’esigenza di un innalzamento dei livelli di professionalità della magistratura.

 

Il cittadino ha inoltre diritto ad un magistrato che fin dall’inizio del procedimento sia in grado di affrontare la domanda di giustizia, qualunque sia il settore coinvolto, covile o penale, cautelare o di merito, senza dover attendere un giudice di secondo grado o magari di legittimità eventualmente migliore. Per questa ragione, nell’interesse del servizio – giustizia deve essere respinto ogni sistema che incentivi in modo generale ed indifferenziato una corsa verso le funzioni di appello e di legittimità. In questo senso, si aspira ad un modello di “professionalità diffusa”, che fin dai primi gradi di giudizio si presenti altamente qualificata e competente. Attraverso un simile modello, inoltre, si potrebbe contrastare più efficacemente anche la tendenza tipicamente italiana dell’eccessivo ricorso ai mezzi di impugnazione, con conseguente inevitabile pregiudizio sulla lunghezza dei processi.

 

Ma la professionalità è questo e molto altro ancora.

Rientrano in un concetto ampio di professionalità anche altri valori e principi fondamentali come la dignità, la correttezza e la sensibilità all’interesse pubblico. Nello svolgimento delle sue funzioni ed in ogni suo comportamento professionale, il magistrato si ispira a valori di disinteresse personale, non servendosi del suo ruolo istituzionale per ottenere benefici o privilegi. Nei rapporti con i cittadini e con gli utenti della giustizia, il magistrato tiene un comportamento  disponibile e rispettoso della personalità e delle dignità altrui, respingendo ogni segnalazione, pressione o sollecitazione comunque diretta ad influire indebitamente sui tempi e sui modi dell’amministrazione della giustizia. Pur essendo aspetti collaterali della professionalità, tali principi di correttezza e integrità morale costituiscono connotati indispensabili della funzione pubblica, al servizio della collettività, propria del magistrato. Si tratta di regole etiche e valori morali che, secondo il comune sentire di categoria, deve ispirare il comportamento professionale, pur ovviamente ponendosi su di un piano diverso dalla regolamentazione giuridica degli illeciti disciplinari.

 

Non è però sufficiente per un corretto funzionamento dell’ordinamento giudiziario assicurare che i magistrati selezionati abbiano tali caratteristiche di professionalità, ma occorre anche garantire che possano in concreto esercitarle.

Quali sono cioè le condizioni sine qua non che permettono ad un magistrato qualificato e preparato di poter esercitare la sua funzione pubblica nel rispetto del modello istituzionale, delineato dalla carta costituzionale?

 

In primo luogo, il magistrato deve garantire e difendere l’indipendente esercizio delle proprie funzioni e mantenere un’immagine di imparzialità e di indipendenza, evitando di conseguenza qualsiasi coinvolgimento in centri di poteri partitici che possano condizionare l’esercizio delle sue funzioni o comunque appannarne l’immagine professionale. Qualsiasi modifica normativa che alteri o rischi di pregiudicare l’immagine di imparzialità ed indipendenza della magistratura si pone inevitabilmente in contrasto ed antitesi con il modello costituzionale.

Per questo motivo, devono essere scoraggiate ed ammonite le eventuali riforme che tendano ad alterare o a ridurre la posizione di terzietà, imparzialità ed indipendenza della magistratura.

Ciò che maggiormente suscita preoccupazioni tra gli operatori del diritto è il modello di un giudice burocrate e gerarchicamente organizzato contrapposto al modello di giudice delineato dalla Costituzione. Ad esempio, il disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario approvato dal senato sotto il precedente governo (cd. progetto Castelli) presentava inquietanti proposte in questo senso, tendendo a ripristinare un ordinamento gerarchico fortemente lesivo del principio costituzionale della pari dignità delle funzioni giudiziarie, senza di contro garantire una magistratura professionalmente più qualificata. L’eventuale ripristino di un metodo di selezione interno, basato su concorsi a cascata avrebbe probabilmente comportato il rischio di ridurre l’indipendenza interna, senza garantire peraltro una migliore professionalità, in quanto avrebbe indotto a privilegiare una preparazione tecnico – giuridica astratta e slegata dalla concreta attività giudiziaria. Così alla stessa stregua, l’attribuzione al procuratore della repubblica dell’autocratico ed esclusivo esercizio dell’azione penale, l’esasperata gerarchizzazione dell’ufficio di procura, il ripristino di un generalizzato potere di avocazione in capo al procuratore generale, esporrebbe al rischio di usi strumentali, in violazione dei principi di uguaglianza e di legalità. L’introduzione infine, sotto forma di illecito disciplinare, di limiti all’attività di interpretazione, rinnegherebbe l’essenza stessa delle funzioni giudiziarie. Sono dunque essenzialmente questi i pericoli che oggi rischiano di minacciare l’esercizio e l’attuazione della tanto decanta professionalità dei magistrati.

Un ordinamento giudiziario a struttura piramidale e gerarchizzato in base a rigidi schemi di carriera confliggerebbe con il principio  costituzionale della pari dignità delle funzioni (art.107 Cost.). Si finirebbe per delineare una magistratura a struttura piramidale, verticistica, dove il valore costituzionale della pari dignità giurisdizionale delle funzioni viene mortificato dalla previsione di una carriera accelerata per posti – erroneamente ritenuti superiori – di secondo grado o di legittimità.

Il sistema degli avanzamenti per concorso è stata abbandonato quasi quarant’anni fa a causa dei guasti e delle distorsioni che provocava. L’impegno del magistrato concentrato non sul proprio carico di lavoro, ma sulla sentenza da valorizzare quale “titolo”, comportava inoltre un sistema inevitabilmente destinato a piegarsi al conformismo. Si rischiava la trasformazione della sentenza da risposta destinata al cittadino ad esibizione di sapere dottrinario e giurisprudenziale destinata agli esaminatori.

L’eliminazione dei concorsi non ha del resto impedito la crescita culturale e professionale della magistratura italiana, anzi ha consentito che questa si sviluppasse senza condizionamenti ed al puro fine di migliorare la qualità del proprio lavoro. Oggi il cittadino sa che l’ordinamento italiano pone il magistrato che lo deve giudicare in condizione di essere sine spe ac metu.

E’ per questi motivi allora che devono essere visti con sfavore quei tentativi di ripristinare il vecchio modello del magistrato costantemente impegnato a fare concorsi, a discapito della sua funzione pubblica, a servizio della collettività.

 

Infine, l’ipotetica (e temporaneamente scongiurata) previsione di un ingresso in magistratura distinto per giudici e pubblici ministeri oltre ad un apposito concorso per il cambio di funzioni avrebbe offerto un chiaro segnale verso la direzione della sostanziale separazione delle carriere, in contrasto con l’attuale sistema costituzionale. Del resto, la riforma sarebbe stata gravemente dannosa anche per i cittadini.  Da un pubblico ministero “separato” e quindi straniato dalle logiche culturali  proprie della funzione giurisdizionale deriverebbero, anche a prescindere dalle evidente ipoteche sul futuro  della sua indipendenza rispetto al potere politico, gravi pregiudizi per le garanzie fondamentali dei cittadini, ed in primo luogo, quella dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge.

La concreta possibilità di passaggio tra le due funzioni ancora il pubblico ministero nella “cultura della giurisdizione”, in conformità all’impianto costituzionale e come strumento di maggiore garanzia dei cittadini.

 

Sono dunque essenzialmente queste, a grandi linee, le maggiori problematiche in ordine alla questione sulla professionalità dei magistrati.

L’argomento apre inevitabilmente un dibattito che, coinvolgendo diverse tematiche di attualità, suscita ancora oggi il vivo interesse da parte degli operatori del diritto, ponendo numerose domande e quesiti che restano tuttora aperti. 

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