Società di persone: se il socio è anche amministratore si applicano sia le norme sulla revoca sia quelle sull’esclusione

Si reputa utile focalizzare l’attenzione sui rapporti tra revoca dell’amministratore ed esclusione del socio nella società in accomandita semplice, laddove le due figure sono destinate a  incrociarsi reciprocamente visto che nelle società di persone normalmente il socio assume anche il ruolo di amministratore.

Giova ricordare che nell’ambito delle società di persone la disciplina di riferimento per l’esclusione si rintraccia negli artt. 2286 ss. c.c., mentre la revoca è regolamentata dall’art. 2259 c.c., la quale differenzia a seconda della tipologia di nomina dell’amministratore. Infatti in caso di amministratore nominato direttamente nell’atto costitutivo, la revoca può prodursi unicamente per giusta causa, viceversa nell’ipotesi in cui lo stesso sia nominato con atto separato la revoca può compiersi anche in mancanza di giusta causa, facendo salva la fattispecie di cui all’art. 1723 c.c., applicabile in seguito al rinvio effettuato dall’art. 2259, comma 2, c.c. alla disciplina del mandato.

A titolo esemplificativo in giurisprudenza sono state considerate condotte integranti la giusta causa della revoca l’indebita appropriazione di utili della società da parte dell’amministratore; la ripetizione di comportamenti gravemente inadempimenti degli obblighi degli amministratori (come la mancata comunicazione dei bilanci e dei rendiconti della società ai soci non amministratori e l’impedimento frapposto a detti soggetti in ordine all’accesso ai documenti essenziali per il concreto esercizio dei diritti di controllo); la violazione di un divieto di concorrenza posto a carico dell’amministratore; il compimento in forma disgiuntiva di atti di amministrazione per i quali il

contratto sociale prevedeva invece la forma congiuntiva.

In relazione alle s.a.s. è opportuno precisare che la regola di riferimento per la revoca è tratteggiata dall’art. 2319 c.c. secondo il quale, a meno che l’atto costitutivo non preveda diversamente, risulta necessario il consenso degli accomandatari e l’approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale da essi sottoscritto, non invece il consenso del socio che si vuole revocare dalla carica di amministratore.

La giurisprudenza in numerose pronunce ha inoltre applicato alla fattispecie della s.a.s. analogicamente l’art. 2259 c.c., sia nel caso in cui la nomina dell’amministratore sorga dall’atto costitutivo, sia in quello in cui essa derivi da un atto separato.

Dalle abituali intersecazioni tra la figura di socio e quella di amministrazione sorge il problema relativo all’ipotesi in cui si escluda un socio che rivesta anche la qualifica di amministratore, fattispecie alquanto frequente in una s.a.s. dove la carica di amministratore può essere assunta unicamente da soci. Infatti è oramai pacifico in giurisprudenza che le irregolarità o le illiceità compiute dall’amministratore provochino normalmente oltre alla revoca del mandato e l’esercizio dell’azione di responsabilità, anche il provvedimento di esclusione del socio per violazione dei doveri previsti dallo statuto a tutela delle finalità e degli interessi dell’ente. In tale fattispecie si dovrà dunque applicare esclusivamente la disciplina dell’esclusione o altresì quella della revoca?

In merito dottrina e giurisprudenza hanno individuato due contrastanti soluzioni.

Un primo orientamento, maggioritario in dottrina e nella giurisprudenza di legittimità, in forza del rinvio operato dall’art. 2315 c.c., deduce la normativa di riferimento in caso di esclusione dell’accomandatario unicamente negli artt. 2286 e 2287 c.c., affermando dunque una divaricazione netta tra esclusione e revoca, la cui disciplina non andrebbe applicata neppure quando si tratti di escludere un socio anche amministratore, in quanto la stessa revoca rileverebbe solamente come semplice conseguenza dell’esclusione. Conseguentemente l’esclusione del socio potrà essere deliberata a maggioranza.

La tesi opposta invece ritiene che, dato che il socio è anche amministratore, l’esclusione implichi anche la revoca. Si configura infatti una immedesimazione in capo al medesimo soggetto delle qualità di accomandatario e le funzioni amministrative, da cui deriva l’applicabilità anche della disciplina in materia di revoca dell’accomandatario amministratore.

Tale posizione, seppur minoritaria in giurisprudenza, pare sia da preferirsi in quanto dall’esclusione del socio accomandatario-amministratore deriva la revoca come conseguenza necessaria, per cui andrebbe applicata anche quest’ultima disciplina con la conseguenza di verificare, in conformità all’art. 2259 c.c., il ricorrere della giusta causa.

In secondo luogo ponendo mente alla possibilità di escludere l’unico socio accomandatario, è evidente come non sia possibile il consenso del socio revocando, logicamente non rimane che applicare la regola prevista riguardo all’esclusione di cui all’art. 2287, comma 1, c.c., per mezzo di una decisione assunta a maggioranza dai soci senza computare l’escludendo, con la coerente operatività degli artt. 2252 e 2319 c.c., previsti per la revoca. Allo stesso modo in questa fattispecie si dovrà utilizzare il procedimento del ricorso all’autorità giudiziaria previsto dall’art. 2287, comma 3, c.c.. Di conseguenza anche il singolo accomandante può richiedere in via giudiziale la revoca per giusta causa degli amministratori. Tuttavia successivamente alla revoca giudiziale l’amministratore non potrà essere sostituito da un altro soggetto nominato anch’esso per via giudiziale.

Si rammenta inoltre che la Suprema Corte peraltro ha già più volte sostenuto (si veda ex multis CASS. 2736/1995) che il cumulo delle qualifiche di socio e di amministratore implica che le irregolarità o le illiceità poste in essere dall’amministratore comportino sia la revoca ma anche l’esclusione del socio. Da cui emerge la sussistenza in concorso della volontà di revocare e di escludere rendendo ammissibile applicare i due regimi.

In conclusione in caso di sovrapposizione delle qualità di socio e di amministratore in una s.a.s., nonostante la diversità tra revoca ed esclusione, risulta possibile utilizzare entrambe le discipline. La violazione degli obblighi inerenti alla qualità di amministratore può infatti esigere oltre alla revoca dalla carica di amministratore, anche l’esclusione dalla compagine sociale. Tuttavia, ciò può realizzarsi esclusivamente nelle ipotesi in cui le violazioni compiute siano a tal punto gravi da segnare profondamente anche il rapporto tra società e socio, dato che non sussiste una automatica coincidenza tra le due fattispecie della revoca dell’amministratore (art. 2259 c.c.) e dell’esclusione del socio (art. 2286 c.c.).

 

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  1. Spinto da un interesse particolare per la questione, ritengo necessario precisare alcuni concetti.
    In primo luogo, è opinione comune che la carica di amministratore non possa essere assunta da soggetti estranei alla compagine sociale, ma soltanto dai soci, con riferimento a tutte le tipologie di società di persone (s.s. – s.n.c. – s.a.s.): l’unica particolarità riguarda il tipo della s.a.s., ove la carica di amministratore può essere assunta esclusivamente dai soci accomandatari (cfr. art. 2318, comma 2, c.c.)
    In secondo luogo, il problema dell’applicabilità dell’art. 2319 c.c. nel caso di esclusione del socio accomandatario-amministratore rileva soltanto laddove tale amministratore sia stato nominato con un atto separato rispetto al contratto sociale: infatti, argomentando a contrario dall’espressa previsione di legge, l’art. 2319 c.c. non si applica se il socio accomandatario è stato nominato amministratore con il contratto sociale. Pertanto, in forza del rinvio operato dall’art. 2315 c.c. e, a sua volta, dall’art. 2293 c.c., in tale ipotesi troveranno applicazione l’art. 2259, commi 1 e 3, c.c., a mente dei quali l’amministratore può essere revocato solo ove sussista una giusta causa.
    Ma siccome il concetto di ‘giusta causa’ per la revoca dell’amministratore rappresenta un quid minus rispetto al concetto di “giusti motivi” necessari per l’esclusione di un socio (cfr. art. 2286 c.c.), in quanto – come ha giustamente ricordato Ivan – l’esclusione del socio implica l’esistenza di circostanze tanto più gravi da giustificare il venir meno anche dello status giuridico di socio, si può ben concludere che l’esclusione del socio accomandatario-amministratore nominato con il contratto sociale è decisa dalla maggioranza soggettiva dei soci, pur ove si tratti dell’unico socio accomandatario-amministratore.
    Resta ferma, invece, la problematicità del caso in cui si voglia escludere l’unico socio accomandatario nominato amministratore con atto separato, la cui esclusione ne implicherebbe anche la revoca dalla carica di amministratore, per la quale però l’art. 2319 c.c. richiede il consenso di tutti i soci accomandatari.
    Sul punto rinvio serenamente alle riflessioni di Ivan :) riassumendo soltanto che la giurisprudenza prevalente conferma l’applicabilità della regola maggioritaria (cfr. art. 2287, commi 1 e 2, c.c.), mentre buona parte della dottrina ritiene sia applicabile la regola dell’esclusione giudiziaria (cfr. art. 2287, comma 3, c.c.) giacché in questo caso si avrebbero – anziché due “soci” – due “gruppi di soci” aventi interessi contrapposti, allo stesso modo di una società in nome collettivo composta da tre soci ove uno di essi lamenti ragioni di esclusione a carico degli altri due.

  2. Con Cass., 26 settembre 2016, n. 18844, in Studium iuris, 4, 2017, p. 475, la giurisprudenza consolida il proprio orientamento ribadendo che il ricorso all’autorità giudiziaria per ottenere una pronuncia di esclusione del socio è ammissibile, ex art. 2287, comma 3, c.c., esclusivamente ove la società sia composta soltanto da due soci, trovando altrimenti applicazione l’art. 2287, comma 1, c.c., ai sensi del quale detta esclusione può essere deliberata a maggioranza, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che all’interno della compagine sociale siano eventualmente configurabili due gruppi di interesse omogenei e tra loro contrapposti e che il socio da escludere, in virtù del conflitto d’interessi nel quale versa, non possa esercitare il diritto di voto, dovendosi, in tal caso, computare la maggioranza necessaria non già sull’intero capitale sociale ma sulla sola parte che fa capo all’avente diritto al voto.

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