[CONS. STATO. N. 501/2016] Esclusa la prelazione artistica in caso di cessione di quota d’azienda

La sentenza del Cons. Stato, 8 febbraio 2016, n. 501 (testo on demand) merita particolare attenzione per avere affermato che il diritto di prelazione previsto dall’art. 60 D.Lgs. n. 42/2004 non sussiste in caso di alienazione onerosa di una quota indivisa di azienda di cui fa parte un bene culturale.

Al di là della conclusione in sé – invero foriera di qualche dubbio (vedi infra) – ciò che appare decisamente criticabile è un intero passaggio argomentativo: dopo aver rilevato che “il trasferimento ha avuto ad oggetto la comproprietà dell’azienda (ossia dell’intero complesso dei beni preordinati all’esercizio dell’impresa), non singolarmente il bene culturale (o una quota di esso) la titolarità proprietaria del quale, in capo alla impresa-complesso aziendale dei beni, allo stato, indivisi, rimane caratterizzata da inalterata continuità”, si legge che “la non operatività dell’istituto della prelazione in caso di cessione d’azienda trova … conforto nei principi che questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare con riferimento ad un caso che presenta molti aspetti di analogia con quello oggetto del presente giudizio: la cessione di quote societarie relative ad un patrimonio sociale nel cui ambito si trova un bene culturale. Con riferimento a quella fattispecie … il presupposto per l’esercizio del diritto di prelazione (il trasferimento della proprietà del bene culturale, ossia l’alienazione del bene stesso) non si verifica nei casi in cui vi sia stata l’alienazione (persino) dell’intero pacchetto azionario della società proprietaria del bene culturale; società che, come prima così dopo l’alienazione delle azioni, continua a essere la proprietaria del bene culturale, con l’unica differenza che l’intero suo pacchetto azionario non è più di un soggetto ma di un altro. … Mutatis mutandis, le stesse conclusioni non posso non valere anche nella vicenda oggetto del presente giudizio, nella quale il trasferimento ha interessato una quota di un’azienda destinata all’esercizio di una impresa”.
Tuttavia, deve in contrario ricordarsi che l’azienda – a differenza della società – non costituisce un autonomo centro di interessi rispetto all’imprenditore che la organizza, non è cioè un “soggetto” di diritto che può essere titolare di situazioni giuridiche, ma può soltanto costituire l’“oggetto” di tali situazioni giuridiche di cui titolare rimane l’imprenditore.
Una conclusione diversa significherebbe attribuire all’azienda un significato giuridico non solo contrario alla littera legis (art. 2555 c.c.: “L’azienda è il complesso di beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa“), ma anche inconciliabile con l’istituto della società (sia pluripersonale in caso di azienda collettiva, sia unipersonale in caso di azienda individuale).
Di conseguenza, l’assimilazione del “trasferimento d’azienda” al “trasferimento di società” deve dirsi clamorosamente errata nel caso di specie, giacché mentre col trasferimento di quote sociali la titolarità del bene culturale rimane la stessa in capo alla società, per cui giustamente non si ravvisa il presupposto “traslativo” del diritto di prelazione, col trasferimento di azienda, anche pro quota, la titolarità del bene culturale – lungi dall’essere caratterizzata “da inalterata continuità” – muta invece a favore dell’acquirente dell’azienda, qui pertanto ravvisandosi il presupposto “traslativo” del diritto di prelazione.

Nella sentenza in commento, però, si legge anche un altro passaggio: “Rispetto a tale vicenda negoziale, il Comune … ha finito, esercitando la prelazione, per subentrare in un diritto (la comproprietà del bene culturale) diverso da quello oggetto del trasferimento (la quota d’azienda)”.
Tale precisazione, insieme a quella analoga sopra ricordata (“il trasferimento ha avuto ad oggetto la comproprietà dell’azienda (ossia dell’intero complesso dei beni preordinati all’esercizio dell’impresa), non singolarmente il bene culturale (o una quota di esso)”), pare offrire uno spunto migliore per escludere il diritto di prelazione nel caso di specie, dato che, in omaggio alla teoria unitaria dell’azienda, suggerisce la diversa e più pertinente assimilazione del “trasferimento d’azienda” al “trasferimento in blocco”: così come la cessione “in blocco” escluderebbe il diritto di prelazione per difetto del presupposto oggettivo (i.e. il bene trasferito non è lo stesso bene oggetto di prelazione), anche la cessione di azienda, che parimenti non costituisce un mero insieme di beni ma un bene diverso dato dall’unicità organizzativa e finalistica di tale insieme di beni, dovrebbe escludere il diritto di prelazione per difetto del medesimo presupposto oggettivo.
Tuttavia, a parte la considerazione che, secondo la diversa teoria atomistica dell’azienda, il suo trasferimento potrebbe essere assimilato anche ad un trasferimento meramente “cumulativo”, il secondo comma dell’art. 60 D.Lgs. n. 42/2004 fa testuale riferimento al diritto di prelazione anche “qualora il bene sia alienato con altri per un unico corrispettivo”.
Di talché, essendo la previsione di un unico corrispettivo comunemente considerata un elemento caratterizzante la cessione “in blocco”, si potrebbe fondatamente sostenere che la prelazione artistica sussiste anche nei casi di trasferimento in blocco ai sensi del citato art. 60, comma 2, D.Lgs. n. 42/2004, con la conseguenza che – per l’analogia appena sopra evidenziata – la prelazione artistica dovrebbe ammettersi anche nel caso di trasferimento d’azienda in cui è ricompreso un bene culturale.
Per altro, tale conclusione scongiurerebbe il rischio di facili abusi da parte del titolare di un bene culturale, dal momento che – a seguire la pronuncia in commento – questi potrebbe aggirare la prelazione artistica semplicemente “aziendalizzando” il bene culturale e trasferirlo come azienda autonoma.
Ora, vero è che il rischio di utilizzi abusivi di un istituto non dovrebbe influenzare il discorso sulla sua natura giuridica, ma è anche vero che la previsione dell’art. 60, comma 2, D.Lgs. n. 42/2004 e la natura impropria della prelazione artistica (che opera, cioè, anche in assenza di parità di condizioni: es. anche in caso di conferimento societario, di permuta e di datio in solutum…) avrebbe come ratio anche quella di scongiurare abusi simili; onde la sussistenza della prelazione artistica anche in caso di trasferimento d’azienda sarebbe frutto di un’interpretazione propriamente normativa e non già metagiuridica.
In conclusione, il vero nodo cordiano da sciogliere è se l’unicità organizzativa e finalistica dell’azienda sia sufficiente a negare il presupposto oggettivo della prelazione artistica alla luce di quanto previsto dal citato art. 60, comma 2, D.Lgs. n. 42/2004: se sì, allora può comunque accogliersi la conclusione di diritto cui è pervenuta la sentenza in commento; se no, come pare legittimo dubitare (vedi per esempio implicitamente il Quesito CNN n. 195-2007/I, Aumento di capitale di s.r.l. con conferimento di azienda comprendente beni culturali), bisogna allora augurarsi un ripensamento non solo argomentativo da parte della giurisprudenza.

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