[CASS., SS.UU., N. 18725/2017] LE DONAZIONI INDIRETTE SECONDO LA CORTE DI CASSAZIONE

Con la sentenza Cass., SS.UU., 27 luglio 2017, n. 18725, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione dei “rapporti tra il contratto tipico di donazione e le liberalità diverse dalla donazione (dette anche donazioni indirette o liberalità atipiche): l’uno, definito dall’art. 769 cod. civ. come l’atto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione; le altre, contemplate dall’art. 809 cod. civ. come liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione stessa, le quali hanno in comune con l’archetipo l’arricchimento senza corrispettivo, voluto per spirito liberale da un soggetto a favore dell’altro, ma se ne distinguono perché l’arricchimento del beneficiario non si realizza con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte del disponente, ma in modo diverso”.
E lo ha fatto non già approfondendo il profilo teorico delle donazioni indirette, reputandolo “un aspetto, questo, sul quale, alla ricerca del dato unificante delle liberalità non donative, si è soffermata a lungo la dottrina, delineando un panorama articolato”, ma individuando le caratteristiche distintive rispetto alla donazione tipica di cui all’art. 769 c.c. attraverso la “ricognizione delle ipotesi più significative che l’esperienza giurisprudenziale ha ricondotto all’ambito della donazione indiretta e di quelle per le quali si è ritenuta invece necessaria l’adozione del contratto di donazione per la manifestazione della volontà e per la realizzazione dell’interesse liberale”.
A tale proposito, da un lato le Sez. Un. confermano integrare donazioni “indirette”, allorché sorrette da spirito di liberalità:
- il contratto a favore di terzo, dove il terzo risulta beneficiario del diritto attribuito dal promittente con depauperamento dello stipulante;
- la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso una banca o di buoni fruttiferi postali appartenenti ad uno solo dei cointestatari, col che l’altro cointestatario risulta arricchito della corrispondente quota di detta somma o buoni postali;
- il c.d. negotium mixtum cum donatione, mediante il quale si realizza l’arricchimento del contraente che beneficia dell’attribuzione di maggior valore (i.e. del venditore per la parte di prezzo eccedente il valore del bene, oppure dell’acquirente per il plusvalore del bene rispetto al prezzo pagato);
- l’intestazione di beni a nome altrui, in cui la liberalità scaturisce “da un complesso procedimento, rivolto a fare acquistare al beneficiario la proprietà di un bene, nel quale la dazione del denaro, anche quando fatta dal beneficiante al beneficiario, assume un valore semplicemente strumentale rispetto al conseguimento di quel risultato [ossia l'intestazione del bene in capo al beneficiario]”;
- l’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., col che il debitore risulta arricchito della liberazione dall’obbligazione a seguito del pagamento effettuato dal terzo beneficiante;
- la rinuncia abdicativa.
Dall’altro lato, invece, la sentenza chiarisce che costituiscono donazioni propriamente “dirette”, sempre se sorrette da animus donandi:
- il trasferimento di libretto di risparmio al portatore, in quanto l’arricchimento consegue dal negozio di trasferimento e non dal rapporto di deposito con la banca;
- la dazione di titoli di credito, quali cambiali e assegni bancari o circolari, in quanto pure in questo caso l’arricchimento deriva dalla dazione in sé, e non dal meccanismo giuridico-operativo dei titoli di credito, che peraltro sono caratterizzati da astrattezza e, dunque, non hanno una causa che potrebbe utilizzarsi per effettuare in modo indiretto una liberalità;
- l’accollo interno, ossia la manleva dell’accollante assunta nei confronti del debitore accollatario in caso di pagamento richiesto dal creditore accollato, rilevandosi che la liberalità non è un effetto indiretto ma la causa stessa dell’accollo;
- il trasferimento di strumenti finanziari dal conto deposito titoli del beneficiante al conto deposito titoli del beneficiario mediante bancogiro – che è il caso concreto affrontato dalla sentenza – giacché il bancogiro rappresenta soltanto una “mera modalità di trasferimento di valori del patrimonio di un soggetto in favore del patrimonio di altro soggetto” tale per cui l’operazione “non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta”.
Da questa ricognizione delle fattispecie giurisprudenziali più importanti di donazioni dirette e indirette, la Corte ha dedotto i seguenti quattro caratteri tipologici delle liberalità non donative:
(a) atti diversi dal contratto (ad esempio, negozi unilaterali come l’adempimento del terzo e la rinuncia abdicativa);
(b) contratti (non tra donante e donatario) rispetto ai quali il beneficiario è terzo (come nel contratto ex art. 1411 c.c.);
(c) contratti caratterizzati dalla presenza di un nesso di corrispettività tra attribuzioni patrimoniali (come nel caso di negotium mixtum cum donatione);
(d) la combinazione di più atti e negozi (come nel caso dell’intestazione di beni a nome altrui).
Laddove si riscontri una di tali caratteristiche, sembra dire la Corte, si avrebbe una donazione non tipica ma indiretta, con tutte le conseguenze normative del caso.
Ora, essendo per l’appunto la distinzione tra donazione diretta e indiretta di grande importanza pratica in ordine alla disciplina applicabile, nel caso di specie si trattava di individuare la disciplina della forma ad substantiam della donazione di strumenti finanziari a mezzo bancogiro: forma che in caso di donazione diretta non di modico valore è quella pubblica stabilita dall’art. 782 c.c. (con l’assistenza di testimoni ai sensi dell’art. 48 della Legge notarile), mentre in caso di donazione indiretta è quella prevista dalla legge per l’atto-mezzo utilizzato per realizzare la liberalità, “dato che - argomenta così la Corte – l’art. 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (Cass., Sez. III, 11 ottobre 1978, n. 4550; Cass., Sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333; Cass., Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197)”.
Tuttavia, le Sezioni Unite non si addentrano a chiarire, neppure a grandi linee, lo statuto generale delle donazioni indirette, sul quale pertanto rimangono tutti i dubbi del caso (si rinvia, in proposito, alle brevi riflessioni già espresse nel Portale).
La verità, io credo, è che un siffatto statuto, al di là della forma donativa pacificamente mai applicabile di per sé, non può essere definito in modo soddisfacente, attesa proprio la varietà strutturale e di funzionamento delle donazioni indirette e, dunque, la necessità di verificare caso per caso quali norme sostanziali della donazione possano dirsi applicabili alla liberalità non donativa concretamente realizzata.

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