[CASS. N. 10356/2009] La Suprema Corte ribadisce la nullità della donazione di beni altrui

Con la sentenza, sez. II, 5 maggio 2009, n. 10356, la Cassazione è tornata nuovamente ad occuparsi di quella che, ormai, potremmo considerare a pieno titolo una “vexata quaestio” in materia di donazioni: la discussa ammissibilità della donazione di beni altrui.

La  fattispecie, concernente la donazione avente ad oggetto un bene di cui il donante non risulta titolare al momento in cui si perfeziona il contratto, come sottolinea la stessa Corte,  non è espressamente disciplinata. Per essa si pone, in primo luogo, il problema della riconducibilità o meno al divieto di donazione di beni futuri di cui all’art. 771 c.c., fattispecie indubbiamente affine a quella presa in considerazione da varie pronunce giurisprudenziali.

Contrariamente alla tesi favorevole ad ammetterne la validità ferma restandone l’inefficacia, (tesi accolta in particolare da Cass. 5 febbraio 2001, n. 1596 e seguita recentemente anche dalla già segnalata pronuncia della Corte di Appello di Napoli del 6 giugno 2008), in questo caso la Suprema Corte afferma nuovamente la nullità della donazione di beni altrui, sulla base “della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 cod. civ. , poiché il divieto di donazione di beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionatisi prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante“. Tuttavia, tale donazione, specifica la Corte, nonostante la nullità può essere astrattamente, (ma non in concreto), considerata titolo idoneo al trasferimento del diritto sul bene altrui donato e, pertanto, utile ai fini dell’acquisto del medesimo bene per usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c..

La prima impressione è che la Cassazione, sancendo un parziale “ritorno al passato”, abbia voluto mantenere, almeno inizialmente, un atteggiamento dogmatico rigoroso e fedele alla lettera (e, a modesto parere di chi scrive, anche alla ratio) dell’art. 771 c.c. , considerando il bene altrui bene soggettivamente futuro. Al contempo, dato che “l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare“, probabilmente nel tentativo di “favorire” comunque la pienezza e la certezza dell’acquisto del bene da parte del donatario che ne ha conseguito il possesso, la Corte sembra mostrare anche un atteggiamento squisitamente “pratico”, sebbene attento al riconoscimento di situazioni di fatto protrattesi nel tempo e al perseguimento della certezza del diritto.

Nella sostanza, tuttavia, siffatto atteggiamento risulta complessivamente contraddittorio rispetto alla rigorosa premessa di fondo, laddove la Corte finisce per ammettere che anche un titolo nullo e, pertanto, improduttivo di effetti “ab origine”, possa ritenersi titolo astrattamente idoneo al trasferimento di un diritto e perciò utile ai fini dell’usucapione abbreviata.

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  1. Premesso il fatto che mi trovo d’accordo con il principio affermato dalla sentenza in epigrafe, a mio avviso la contraddittorietà da te rilevata è soltanto apparente.
    Infatti, le numerose sentenze che hanno sancito l’inidoneità di un titolo nullo ai fini dell’usucapione abbreviata, fanno riferimento ad una causa di nullità “altra” rispetto a quella derivante dall’altruità della res.
    Quando, invece, la nullità del titolo deriva dalla stessa altruità del bene (come nel caso della donazione di bene altrui, appunto), essa è come se rimanesse “assorbita” da quest’ultimo presupposto; di modo che l’inidoneità (rectius: la nullità) del titolo d’acquisto deve necessariamente fondarsi su una causa di nullità diversa.
    Come ha ricordato la Corte, del resto, l’espressione “titolo astrattamente idoneo” di cui all’art. 1159 c.c. (così come degli altri analoghi artt. 1153, 1159-bis, 1160, comma 2, 1162 c.c.) deve esser interpretata nel senso che se non ci fosse l’altruità del bene l’acquisto discenderebbe automaticamente dal titolo. E nel caso della donazione di cosa altrui, in effetti, se il bene fosse del donante l’acquisto si verificherebbe senza alcuna riserva.
    Ne discende, allora, che l’inidoneità del titolo donativo avente ad oggetto il trasferimento di un bene altrui deve necessariamente fondarsi su una diversa causa di nullità.
    In conclusione, si ritiene che la sola nullità derivante dalla prestazione di cose future (ex art. 1348 c.c.) non escluda l’astratta idoneità del titolo di acquisto ai fini dell’usucapione abbreviata, ma che sia necessario, di converso, che il titolo sia inficiato in modo differente (es. per vizi di forma).

  2. Spero di aver compreso in maniera sufficiente quanto da te giustamente precisato: tuttavia, a mio avviso, ciò non basta a spiegare come la Corte riesca a “salvare” l’usucapibilità nel termine decennale, pur quando il possesso del bene si fondi su un titolo, quale una donazione di beni altrui, dichiarato formalmente nullo.
    In pratica, se ho ben capito, per la Cassazione l’altruità del bene donato è comunque causa di nullità del contratto; però questa donazione, (di per sè nulla), rimane titolo astrattamente idoneo ai fini dell’usucapione abbreviata, perchè…in realtà l’idoneità o meno del titolo non si immedesima con la nullità, la quale viene in un certo senso “scissa” dalla sua “fonte generatrice” (l’altruità), viene come esternata dai suoi presupposti e così,il contratto tipico di donazione, (cioè il nostro “titolo”), è come se finisse per non esser più considerato realmente “nullo”, ma semplicemente e, forse, impropriamente, inefficace.
    Questa è la mia sensazione: impostando così il discorso, infatti, non vedo come si possa continuare a parlare di nullità in senso proprio, e come non sia una contraddizione affermare l’idoneità astratta del titolo “ad usucapionem”. Insomma, come si dice: “delle due, l’una”.
    Sembra che la Cassazione voglia distinguere tra causa e causa di nullità ai fini dell’idoneità o meno del contratto, comunque considerato invalido, a trasferire diritti, ma non capisco proprio sulla base di quale dato normativo tale operazione interpretativa si possa fondare e legittimare.
    Sono dell’idea che, anche laddove non si voglia intravedere aspetti contraddittori nel ragionamento svolto dalla Corte, (come io ho voluto, forse esageratamente, sottolineare), risulti quantomeno “tautologico” dire che, se la donazione avesse avuto ad oggetto un bene facente parte del patrimonio del donante (e, quindi, non altrui), “quella” donazione sarebbe stata titolo idoneo al trasferimento della proprietà o di altro diritto sul bene medesimo…beh, certamente, ma allora non saremmo nemmeno qui a parlarne, questo è ovvio!
    Questo tipo di ragionamento può valere per ogni altra ipotesi di nullità ed equivale a non considerare affatto esistente il vizio, non tanto la sua conseguenza (di nullità o altro) sul piano giuridico: non capisco perchè, infatti, ciò non debba valere anche nell’esempio della donazione nulla per difetto di forma…anche un oggetto possibile, lecito, determinato o determinabile è un elemento essenziale del contratto, ed è di pari rango rispetto alla forma solenne prescritta per la donazione dall’art. 782 c.c. .
    Così procedendo, poi, penso si corra il rischio di finire per considerare qualunque titolo, seppur viziato, idoneo “astrattamente” a trasferire diritti e, dunque, utile anche ai fini dell’usucapione, anche contro la “ratio” delle norme che governano la materia degli effetti del possesso.
    Se si ragiona per esclusione, rimossa “ex ante” la causa che genera la nullità, (si tratti di nullità per mancanza di forma “ad substantiam”, oppure di oggetto illecito o impossibile o, ancora, di contrarietà a norma imperativa), la fattispecie non può che essere considerata valida perchè non sussiste più il presupposto che ha dato origine a quella sanzione della nullità, l’atto non può dirsi viziato e, dunque, è come se fosse stato validamente posto in essere.
    Non vedo perchè e, soprattutto, sulla base di quale norma, distinguere tra le diverse e astrattamente configurabili cause di nullità quando, tutto sommato, sempre di nullità (in senso tecnico) si tratta e, soprattutto, quando ciò che conta è la validità del negozio concluso.
    Solo laddove fosse (per altra causa o su altro piano) inefficace, la donazione di beni altrui rimarrebbe pur sempre titolo astrattamente idoneo ad operare un trasferimento di diritti, proprio perchè non affetto da vizi di nullità: proprio in ciò si apprezza l’altro orientamento affermatosi in giurisprudenza, per cui la donazione di beni altrui si considera valida ma inefficace (e, allora si, titolo astrattamente idonea all’acquisto del diritto).
    E’ la nullità che per l’ordinamento consegue a un certo vizio del negozio, ad impedire “a priori” l’idoneità dello stesso a trasferire diritti, e la nullità può derivare da diverse tipologie di vizi.
    Nel caso di specie, al contrario, si finisce col dire che, se il bene non fosse stato di altri, la donazione sarebbe risultata non solo valida, ma anche pienamente efficace perchè, in sostanza, non sarebbe venuto in gioco il disposto imperativo dell’art. 771, imprescindibile dato normativo di riferimento: al riguardo, “nulla quaestio”, ma questo è proprio ciò che non è avvenuto nella realtà dei fatti (e, non per niente, la donazione avente ad oggetto beni altrui è dichiarata nulla).
    Ma come tu stesso hai sottolineato,l’altruità del bene in questo caso è il presupposto (l’unico) della nullità della donazione, è come se costituisse essa stessa un vizio “oggettivo”, e ciò non in astratto ma in concreto, in riferimento al divieto espresso di donazione di beni futuri di cui all’art. 771 c.c, (norma che sancisce un’ipotesi di c.d. “nullità testuale”).
    Una volta che tale norma viene (a mio avviso, ormai lo sapete, correttamente) ritenuta applicabile anche al caso in esame, dove la futurità del bene, pur non essendo oggettiva ma soggettiva, è comunque sussistente, la “ratio” del divieto risulta automaticamente integrata e la conseguenza è quella della nullità della donazione.
    Nullità che, in assenza di diversa disposizione, segue tutti i principi generali e l’intera disciplina in materia, cui la giurisprudenza non è certo in grado di derogare.
    Sembra, invece, che la Corte consideri la nullità della donazione di beni altrui come una sorta di nullità “sui generis”, che prescinde dal tipo di vizio sottostante (contrarietà a norma imperativa), quando invece l’unica cosa che conta davvero, cioè il dato normativo, non dice nulla al riguardo e dimostra, piuttosto, senza nulla specificare, di trattare la nullità della donazione di beni futuri (o beni altrui, ma il che è lo stesso a questo punto,)come ogni altra ipotesi di nullità: il negozio è invalido e radicalmente improduttivo di effetti.
    Non vedo, dunque, come si possa ammettere su un piano interpretativo che rimanga saldamente ancorato al diritto positivo, l’idoneità di una donazione nulla a fondare un’acquisto per usucapione abbreviata, dato che il titolo astrattamente idoneo è elemento essenziale per il perfezionamento della fattispecie e qui, invece, proprio in quanto nullo, tale titolo non è idoneo.(Forse si potrebbe addirittura dire che, in quanto nullo, è il titolo stesso a mancare).
    E proprio intorno a quest’ultimo riferimento al diritto positivo, secondo me, ruota il problema: non si può, nè mai si deve trascurare il dato normativo.
    Se si finisce per ammettere l’applicabilità della norma di cui all’art. 771 c.c. al caso di specie (cosa peraltro discussa, ma del resto è questo il punto di partenza per la stessa Cassazione), la coerenza impone poi di tener conto fino in fondo delle conseguenze di siffatta impostazione.
    Pertanto,la donazione sarà nulla per contrarietà a norma imperativa (o, se non si condivide questa idea, per illiceità dell’oggetto, ma la conclusione non cambia) e, in quanto nulla, improduttiva di effetti sia in concreto che in astratto, proprio perchè la legge vieta espressamente la donazione avente ad oggetto beni oggettivamente o soggettivamente futuri.
    La logica conseguenza, allora, dovrebbe essere anche quella dell’inidoneità di questo titolo a legittimare un acquisto per usucapione abbreviata “ex” art. 1159, perchè una donazione nulla, quale ne sia la causa, non produce effetti “ab origine” e quindi non è idonea a trasferire alcun diritto.
    Tutto questo mi sembra confermare, infine, anche le mie impressioni riguardo all’atteggiamento di “compromesso” e rivolto al fine “pratico”, (ma non certo solo per questo da criticare), tenuto dalla sentenza in commento.

  3. Sono d’accordo con te circa la difficoltà di ritenere applicabile l’art. 1159 c.c. all’ipotesi di donazione di bene altrui.

    Tuttavia, quante volte capita che la coerenza di un ragionamento non vada di pari passo con la sua condivisibilità?! :)
    Sebbene questo possa rappresentarne un tipico esempio, non può certo affermarsi che la conclusione della Corte sia contraddittoria sol perché non la si condivide.
    Come ci insegna quotidianamente qualcuno, il dato positivo costituisce, o quantomeno dovrebbe farlo, il punto di inizio e di fine del ragionamento giuridico.
    Ed in effetti, le conclusioni a cui la Corte è pervenuta si poggiano saldamente su tale dato, che all’uopo non è propriamente quello dell’art. 771, comma 1, c.c. – che predica “soltanto” la nullità della donazione avente ad oggetto un bene futuro (anche in senso soggettivo, quindi), bensì quello dell’art. 1159 c.c. sull’usucapione immobiliare abbreviata.
    Provo a vivisezionare il ragionamento della Corte.
    Ai fini dell’usucapione abbreviata, la littera legis richiede, tra le altre cose:
    1) l’altruità del bene; e
    2) il titolo (astrattamente) idoneo a trasferire.
    Di quest’ultimo non è scritto da nessuna parte che trattasi di nullità, quindi il riferimento all’art. 771 c.c., se non inconferente, è comunque frutto di una – sebbene per me condivisibile, sia nell’an che nel quomodo – attività squisitamente esegetica.
    Invece, è proprio il dato letterale che separa – evidentemente per distinguerli – i due elementi in parola.
    Secondo la tesi dominante, come già scritto, il rapporto tra questi due elementi è quello per cui l’altruità del bene (o, più in generale, il difetto di legittimazione in capo al dante causa) deve essere l’unico ostacolo alla realizzazione dell’acquisto.
    Se manca tale ostacolo, e quindi se il dante causa è titolare del bene trasferito, non vi sono più i presupposti dell’usucapione abbreviata, e l’acquisto è bell’e realizzato!
    Di contro, l’usucapione abbreviata non si realizza allorquando altri e diversi ostacoli concorrano con l’altruità, i quali rendono appunto “inidoneo” il titolo di acquisto.
    Se tutto questo è vero – e tale veridicità mi pare scaturire, ancora, dal dato letterale – analizziamo gli ostacoli presenti nella donazione di cosa altrui:
    1) l’altruità del bene,
    ma – secondo te – anche
    2) l’inidoneità del titolo in quanto esso è nullo ai sensi dell’art. 771, comma 1, c.c..
    Il che, equivarrebbe a dire, secondo la Corte, che gli ostacoli sono:
    1) l’altruità del bene e
    2) l’altruità del bene :)

    Mi pare evidente, allora, che in questo caso l’ostacolo è visto dalla Corte come unico, e cioè l’altruità del bene: ergo, si applica l’art. 1159 c.c.!
    In altri termini, l’inidoneità del titolo deve potersi apprezzare all’infuori del requisito dell’altruità, proprio perché sono due requisiti tenuti distinti – lo si ribadisce – dallo stesso dato letterale.
    Quindi una donazione di bene altrui è, prima che una donazione nulla, una donazione – appunto – di bene altrui! E questo non necessariamente in virtù di una diversificazione tra le diverse ipotesi di nullità (anche se sarebbe opportuno operarla, in generale, sulla base del tipo di norma sotteso a ciascuna di essa), ma semplicemente perché è ciò che si evince dal dato letterale dell’art. 1159 c.c. che, lo si ripete, distingue i due elementi dell’altruità e dell’idoneità del titolo.
    Il dato positivo, quindi, non ne risulta affatto trascurato, ma anzi è valorizzato nelle sue massime espressioni.

    Piuttosto, conviene valorizzare e sviluppare meglio quanto da te concluso in definitiva: e cioè che la donazione di bene altrui è nulla “per contrarietà a norma imperativa (o, se non si condivide questa idea, per illiceità dell’oggetto, ma la conclusione non cambia) e, in quanto nulla, improduttiva di effetti sia in concreto che in astratto, proprio perchè la legge vieta espressamente la donazione avente ad oggetto beni oggettivamente o soggettivamente futuri.
    La logica conseguenza, allora, dovrebbe essere anche quella dell’inidoneità di questo titolo a legittimare un acquisto per usucapione abbreviata “ex” art. 1159
    , ma non tanto “perchè una donazione nulla, quale ne sia la causa, non produce effetti “ab origine” e quindi non è idonea a trasferire alcun diritto”, ma nella misura in cui la sanzione della nullità, che sia una nullità “da disvalore”, rappresenti lo strumento di reazione al compimento di un atto osteggiato dall’ordinamento giuridico.
    In particolare, laddove il legislatore abbia dimostrato di avversare la fattispecie donativa de qua, cosicché sarebbe irragionevole farne derivare, allo stesso tempo, qualunque effetto acquisitivo, neanche in combinazione con altri requisiti quali, appunto, quelli degli artt. 1159 c.c. e simili.

  4. Ah-ah, credo che potremmo andare avanti all’infinito su questo tema…mi rendo anche conto che la mia rischia di presentarsi come una posizione eccessivamente formalistica, ma lungi da me tacciare d’incoerenza la Cassazione “solo” perchè non condivido la tesi da essa seguita e di cui non rimane che da prendere atto, in un ambito peraltro da sempre discusso.
    La tua ricostruzione è chiara e condivido sicuramente lo spunto finale, riguardo “l’irragionevolezza” nel considerare la donazione di beni altrui, in quanto nulla, schema negoziale avversato dall’ordinamento e, pertanto, nella sostanza, non meritevole di tutela e pur tuttavia considerata titolo idoneo a fondare un acquisto “per altra via” (…ma questa non potrebbe chiamarsi già “incoerenza”?).
    Vorrei, comunque, ribadire con te che l’art. 1159 richiede per la sua applicabilità un acquisto “a non domino” (quindi, l’altruità genericamente intesa) e, insieme, un titolo astrattamente idoneo a realizzare quello che, pur sempre, è chiamato dal legislatore medesimo, un “acquisto”.
    Nella specie, (e in ciò trovo il conforto di certa dottrina e di altra giurisprudenza, sebbene non più recente),il “titolo” consiste in un negozio traslativo a titolo particolare, avente ad oggetto la stessa cosa posseduta in buona fede da chi invoca a suo favore l’operatività dell’usucapione, ma tale negozio non deve essere viziato, proprio perchè (come da te sottolineato), se lo stesso identico negozio fosse stato posto in essere da un soggetto legittimato, (nel nostro caso, il vero proprietario del bene donato), quel negozio da solo avrebbe operato un trasferimento del diritto pienamente valido ed efficace.
    Orbene, io rimango nel dubbio davanti alla donazione di beni altrui, quando la Cassazione afferma la nullità del contratto e, al contempo, l’idoneità dello stesso ai fini dell’usucapione, anche perchè altra giurisprudenza da tempo afferma che è titolo astrattamente idoneo un negozio annullabile, che produce i suoi effetti fino alla sentenza di annullamento, ma non un negozio nullo, “perchè il vizio di nullità investe la giuridica esistenza dell’atto medesimo” (cfr. ad esempio Cass. 8 giugno 1982, n. 3466).
    In pratica, il negozio nullo è come se mancasse: quindi, nell’ambito dell’art. 1159, è come se mancasse, in ogni caso, un elemento della fattispecie che condice all’acquisto per usucapione.
    E allora mi chiedo: ma se la donazione di beni altrui, prima di tutto, viene riportata nell’ambito di applicazione dell’art. 771 e, pertanto, è nulla, non si tratta di un contratto invalido, improduttivo di effetti e, comunque, di per sè, inidoneo a trasferire alcun diritto sul bene altrui perchè è la stessa legge a vietare (più o meno direttamente) siffatta donazione?
    Il “discrimen” che non riesco a trovare in nessun dato normativo sicuro, è la differenziazione tra vizi di nullità cui, invece, sembra far riferimento la Cassazione; se si parla di nullità, si parla di un vizio che per la legge, (ma anche la stessa giurisprudenza: vedi sopra), “investe la giuridica esistenza dell’atto”.
    Una cosa, allora, è dire che l’acquisto avviene “a non domino” perchè il dante causa dispone di un bene altrui e a ciò non è legittimato; altra cosa è dire che il negozio di disposizione (“rectius”, di trasferimento) del diritto sul bene altrui è nullo…proprio perchè ha ad oggetto un bene altrui ai sensi dell’art.771.
    A me sembra che questa sia la conseguenza di una scelta interpretativa fondata (la ritenuta applicabilità dell’art. 771 al caso “de quo”) che, in relazione all’art. 1159, non può poi essere riveduta in modo da favorire “a tutti i costi” l’applicazione di una diversa norma (l’art. 1159, appunto), dettata in un altro ambito e a fini diversi.
    Rprendendo poi il tuo ultimo spunto, mi chiedo anche questo: nella stessa ottica della Cassazione, potrebbe considerarsi titolo astrattamente idoneo ai fini dell’art. 1159, anche un contratto in frode alla legge, parimenti nullo ex art. 1344 c.c.?
    In questo caso abbiamo un contratto che è dotato di tutti i suoi elementi essenziali, è perfetto e di per sè sarebbe anche valido, se non intervenisse la norma espressa di legge a sancirne la nullità per illiceità della causa.
    Per la donazione di beni altrui, sebbene in tutt’altro contesto, potrebbe valere lo stesso ragionamento: l’art. 771 la vieta e la rende nulla, pertanto, indipendentemente dal vizio sottostante (che, siamo d’accordo, è costituito solo dall’altruità del bene), la fattispecie è inidonea a produrre qualunque effetto: ed allora è come se mancasse del tutto un titolo idoneo.
    Insomma, a me pare che il fatto che l’altruità del bene donato sia, una volta, ritenuta causa di nullità del contratto e, un’altra volta, fondamento e spiegazione del c.d. acquisto “a non domino” di cui all’art. 1159, sia del tutto irrilevante: il titolo non dovrebbe dirsi idoneo.
    Infatti, in questo senso va Cass. 20 dicembre 1985, n. 6544, la quale ritiene inidonea ai fini dell’usucapione proprio una donazione di beni altrui, “attesa l’invalidità a norma dell’art. 771 di tale negozio”.

  5. Da ultimo, ritorno con piacere su questo tema solo per precisare che anch’io sono fra quelli che sposano la discussa tesi che distingue tra inesistenza e nullità (basti pensare alle importanti conseguenze che la stessa comporta in materia di testamento orale).
    Tuttavia, con piena consapevolezza non ho mai parlato di “inesistenza” in senso tecnico, negli esempi sopra fatti, perchè chiaramente non è questo il caso: il contratto di donazione, sebbene nullo, “esiste” eccome!
    Il mio riferimento alla “mancanza” del titolo, colgo l’occasione per precisare, è da intendersi in astratto come logica conseguenza dell’inidoneità del medesimo, ai fini dell’art. 1159, dovuta alla nullità.
    Nell’ambito di applicazione dell’art. 1159, infatti, se il titolo del trasferimento non è “astrattamente idoneo”, significa che manca un elemento essenziale della fattispecie di acquisto per usucapione.

  6. Secondo me si eccede laddove si affermi che il titolo nullo sia un titolo inesistente, secondo la ben nota distinzione tra “nullità” e “inesistenza” (per altro tutt’altro che pacifica).
    La stessa giurisprudenza, in verità, ha appoggiato questa distinzione, per una serie di motivi altrettanto noti, nonché la dottrina tradizionale e autorevole (per tutti Emilio Betti).
    Secondo me la giurisprudenza ha ragione quando afferma che l’inidoneità del titolo coincide con la sua nullità. Di conseguenza, la mancanza del titolo coinciderà solo con la sua inesistenza.

    Per quanto concerne, ancora, la presunta incoerenza del ragionamento svolto dalla Cassazione, lungi da me frappormi quale difensore “a tutti i costi” dei togati ;) , ma obiettivamente tale incoerenza deve ritenersi esclusa perchè il suo ragionamento si fonda sulla distinzione tra nullità di struttura e nullità funzionale, distinzione che è confortata sì da un dato letterale “sicuro” (che, per inciso, non vuol dire che si poggia “con sicurezza” su un dato letterale :) ), e cioè sull’articolazione testuale dell’art. 1418 c.c..

    …nella stessa ottica della Cassazione, potrebbe considerarsi titolo astrattamente idoneo ai fini dell’art. 1159, anche un contratto in frode alla legge, parimenti nullo ex art. 1344 c.c.?“.
    Io direi di no, perchè l’ottica della Cassazione è quella di discriminare tra nullità (funzionale) per disposizione di cosa altrui e altre nullità (tra cui sicuramente quelle di tipo strutturali). Quindi anche per questa Cassazione il contratto traslativo in frode alla legge non dovrebbe costitutire titolo idoneo ai sensi dell’art. 1159 c.c..

    Piuttosto, dovrebbe precisarsi che “astrattamente idoneo” ai fini dell’usucapione abbreviata può esserlo soltanto il titolo con cui il dante causa dispone di un bene di cui non è proprietario, senza che tale bene possa dirsi per ciò solo tecnicamente “altrui”.
    Mi spiego meglio: partendo dallo stesso dato letterale da cui è partita la Corte, soltanto la donazione avente ad oggetto un bene di cui le parti (quindi anche il dante causa, proprio come nel caso di specie) ignoravano l’altruità sarebbe un titolo idoneo ai fini dell’usucapione abbreviata, nonostante in questo caso tale contratto sarebbe (parimenti) nullo – credo – per mancanza dell’oggetto (consentimi di rinviare al mio La nullità del trasferimento mortis causa di un bene altrui, in Giur. merito, 4, 2009, 963, spec. 966) e non per il disposto dell’art. 771 c.c.. Questo perché anche a fronte di un titolo avente ad oggetto non “un bene altrui”, ma “un bene di cui non è titolare il dante causa“, il requisito dell’inidoneità del titolo andrebbe indagato in modo autonomo.
    Ne consegue che, nel caso di specie, la conclusione della Corte non solo non appare affatto contraddittoria o incoerente, ma forse è addirittura da condividere, in definitiva, poiché la donazione di bene “non appartenente al donante” (a differenza della donazione di bene “altrui”, che presuppone la consapevolezza di tutte le parti circa l’altruità della res donata) da un lato è l’unica che strutturalmente può fondare l’applicabilità dell’art. 1159 c.c., e dall’altro lato la sua nullità non discenderebbe dalla violazione di una norma “imperativa”, bensì dalla violazione di una norma meramente “ordinativa”.

  7. Condivisibile (a mio parere) oppure no, ma perlomeno una prima continuità in materia nella giurisprudenza della Suprema Corte: con l’ordinanza 23 maggio 2013, n. 12782, infatti, la Cassazione ha ribadito il principio di diritto già affermato dalla sentenza n. 10356/2009 in commento secondo cui “la donazione di cosa altrui, benché non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla stregua della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 cod. civ., poiché il divieto di donazione dei beni futuri riguarda tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante; tale donazione, tuttavia, è idonea ai fini dell’usucapione decennale, poiché il titolo richiesto dall’art. 1159 cod. civ. deve essere suscettibile in astratto, e non in concreto, di determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare”.

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