[CASS. PEN., SS.UU., N. 35738/2010] La recidiva reiterata, i limiti al bilanciamento delle circostanze e gli altri effetti penali

La sentenza che si segnala (Cass. pen., SS.UU., 5 ottobre 2010, n. 35738) riepiloga e precisa alcuni punti fermi in ordine alla recidiva reiterata, come modificata dalla l. 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. l. ex Cirielli), stabilendo che il giudice può escluderla, quando reputi che in concreto essa non sia espressione di maggiore pericolosità o colpevolezza, e che, di conseguenza, non solo non avrà luogo il relativo aumento di pena, ma nemmeno opereranno gli altri effetti penali che il legislatore del 2005 ha ricollegato a tale situazione: il divieto di prevalenza delle attenuanti di cui all’art. 69, c. 4, c.p.; il limite minimo di aumento di pena per il cumulo di cui all’art. 81, c. 4, c.p.; l’inibizione all’accesso al patteggiamento allargato e alla relativa riduzione premiale di cui all’art. 444, c. 1-bis c.p.p.
Tale puntualizzazione si è resa necessaria perché la l. ex Cirielli, tra le varie modifiche, ha sostituito, nell’art. 99, c. 4, c.p., dedicato appunto alla recidiva “reiterata” (ossia al caso di delitto non colposo commesso da soggetto già recidivo), il verbo “potere” col verbo “essere”, stabilendo, quindi, attualmente, che: “Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma [trattasi di recidiva “semplice”, n.d.r.], è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma [trattasi di recidiva “aggravata”, n.d.r.], è di due terzi”.
Ciò poteva far pensare ictu oculi all’obbligatorietà della recidiva così atteggiata.
Le Sezioni Unite penali, invece, aderiscono alla lettura, sin da subito avanzata dagli interpreti, a favore della facoltatività per il giudice di applicarla o meno (discrezionalità sull’an), col solo obbligo, in caso positivo, di applicarla nella misura stabilita (obbligatorietà sul quantum) [v., tra le altre, C.Cost., 24 giugno 2007, n. 192, e Cass. pen., sez. IV, 20 luglio 2007, n. 29228]. Le argomentazioni sottese a tale scelta possono essere così riassunte:

  • sotto l’aspetto lessicale, il verbo “essere” è utilizzato in evidente riferimento al quantum dell’aumento e non all’an;
  • la recidiva reiterata (così come la recidiva “pluriaggravata” del c. 3 art. 99 c.p.) va letta quale specificazione della recidiva “semplice” del c. 1, per la quale il legislatore ha mantenuto una dizione letterale esplicita per la facoltatività, da questa differenziandosi solo per la misura fissa dell’aumento di pena, che spiega il suddetto uso di un verbo diverso;
  • l’omogeneità (nel senso della facoltatività) delle ipotesi di recidiva dei primi quattro commi dell’art. 99 trova conferma nella littera legis del c. 5, in cui l’obbligatorietà dell’aumento è prevista expressis verbis per i delitti di cui all’art. 407, c. 2, c.p.p. (“…l’aumento della pena è obbligatorio”);
  • una diversa lettura confliggerebbe coi principi costituzionali di ragionevolezza, proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa della pena perché fonderebbe una presunzione assoluta di pericolosità sociale del recidivo reiterato, operante anche quando il nuovo episodio delittuoso non fosse significativo di una più accentuata colpevolezza o maggiore pericolosità del reo.

Prosegue, allora la Corte tracciando le conseguenze di questo regime, in termini tanto chiari che sembra qui opportuno riportarli, seppure per estratto:

“È dunque compito del giudice, quando la contestazione concerna una delle ipotesi contemplate dall’art. 99 c.p., primi quattro commi e quindi anche nei casi di recidiva reiterata (rimane esclusa, come premesso, l’ipotesi “obbligatoria” del comma 5), quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto, secondo quanto precisato dalla indicata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali. [...] Qualora la verifica effettuata dal giudice si concluda nel senso del concreto rilievo della ricaduta sotto il profilo sintomatico di una “più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo”, la circostanza aggravante opera necessariamente e determina tutte le conseguenze di legge sul trattamento sanzionatorio e sugli ulteriori effetti commisurativi  e dunque, nell’ipotesi di recidiva reiterata e per quanto qui rileva in relazione all’oggetto del ricorso in esame, l’aumento della pena base nella misura fissa indicata dall’art. 99 c.p., comma 4, il divieto imposto dall’art. 69 c.p., comma 4, di prevalenza delle circostanze attenuanti nel giudizio di bilanciamento fra gli elementi accidentali eterogenei eventualmente presenti, il limite minimo di aumento per la continuazione stabilito dall’art. 81 c.p., comma 4, l’inibizione dell’accesso al cd. “patteggiamento allargato” di cui all’art. 444 c.p.p., comma 1 bis. [...] Qualora viceversa la verifica si concluda nel senso della non significanza della ricaduta nei termini più su precisati e il giudice escluda la recidiva (dunque non la ritenga rilevante e conseguentemente non la applichi), rimangono esclusi altresì l’aumento della pena base e tutti gli ulteriori effetti commisurativi connessi all’aggravante. La “facoltatività” della recidiva, invero, non può atteggiarsi come parziale o “bifasica” (così Sez. IV, 11.4.2007, P.M. in proc. Serra), nel senso che, consentito al giudice di elidere l’effetto primario dell’aggravamento della pena, l’ordinamento renda viceversa obbligatori – ripristinando in tal modo l’indiscriminato e “sospetto” automatismo sanzionatorio di cui si è detto – gli ulteriori effetti penali della circostanza attinenti al momento commisurativo della sanzione. [...] Qualora la recidiva reiterata sia esclusa, essa non è più ricompresa nell’oggetto della valutazione del giudice ai fini della determinazione della pena e dunque, non essendo stata “ritenuta”, neppure entra a comporre la materia del giudizio di comparazione di cui all’art. 69 c.p., di talché resta inoperante, proprio per la mancanza dell’oggetto, il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti imposto dal quarto comma del medesimo articolo. [...] Analoghe conseguenze si verificano in relazione agli altri effetti commisurativi della sanzione ricollegati dalla legge alla recidiva reiterata.
27. Ne discende – come ha già avuto modo di precisare questa Corte (sez. III, 7.10.2009, P.M. in proc. Serafi, rv 245609) – che il limite all’aumento
ex art. 81 c.p. “non… inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave”, previsto dalla legge nei confronti dei soggetti “ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma”, è pure inoperante quando il giudice non abbia ritenuto la recidiva reiterata concretamente idonea ad aggravare la sanzione per i reati in continuazione o in concorso formale, ed in relazione ad essi l’abbia pertanto esclusa così non “applicandola”, secondo l’accezione del termine già accolta da queste Sezioni Unite nella sentenza del 28.6.1991 in proc. Grassi, più su citata.
28. Allo stesso modo l’esclusione
ex ante della recidiva reiterata ad opera del giudice del “patteggiamento allargato” consente l’accesso al rito speciale dell’imputato al quale la circostanza aggravante sia stata contestata, poiché dalla ritenuta inidoneità della ricaduta nel delitto a determinare, di per sé, un aumento di pena per il fatto per cui si procede discende, altresì, l’inoperatività della clausola di esclusione contenuta nel comma 1 bis dell’art. 444 c.p.p. che inibisce, ove efficace, non solo il percorso processuale semplificato ma, per quanto qui interessa, la fruizione di una rilevante riduzione premiale della sanzione (Sez. I, 13.11.2008, P.M. in proc. Manfredi, rv 242509).In proposito si deve solo ulteriormente precisare, per completezza, che la formula lessicale contenuta nella disposizione in esame (“coloro che siano stati dichiarati… recidivi ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4”) non può essere interpretata nel senso che indichi la necessità di una pregressa “dichiarazione” giudiziale della recidiva; la circostanza aggravante, invero, può solo essere “ritenuta” ed “applicata” per i reati in relazione ai reati è contestata, ed in questo modo deve essere intesa detta espressione la quale, imprecisa sotto il profilo tecnico, è stata evidentemente utilizzata dal legislatore per ragioni di semplificazione semantica essendo essa riferita anche ad altre situazioni soggettive che, attributive di uno specifico status (delinquente abituale, professionale e per tendenza), abbisognano di un’apposita dichiarazione che la legge espressamente prevede e disciplina agli artt. 102, 105, 108 e 109 c.p. (Sez. III, 4.12.2006, Cicchetti; Sez. V, 25.9.2008, Moccia, rv 241598; sez. II, 22.12.2009, Stracuzzi)”.

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