[CASS. N. 7260/2009] Distinzione tra lavoro subordinato ad autonomo

Ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e autonomo determinante è il requisito della subordinazione, da configurarsi come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale deve estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative, mentre altri elementi, quali assenza di rischio organizzativo d’impresa, la continuità della prestazione, la cadenza e la misura fissa del compenso, l’osservanza di un determinato orario, assumono invece valore sussidiario.

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 25 marzo 2009, n. 7260

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 28 dicembre 2005 al Corte di appello di Salerno ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Nocera Inferiore aveva rigettato la domanda proposta da P. G., diretta ad ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società in nome collettivo Gecom, di cui era anche socio, negato dall’INPS con il verbale di accertamento del 12 dicembre 1996.

La Corte territoriale è pervenuta a tale conclusione, in base al rilievo che non risultava dimostrato il vincolo della subordinazione, e neppure erano state specificate le mansioni svolte dall’appellante, il quale a fronte del dedotto inquadramento come operaio specializzato, aveva, secondo le dichiarazioni dei testimoni escussi, espletato “mansioni amministrative di controllo e supervisione dell’attività amministrativa ed anche commerciale della società”.

La cassazione della sentenza è stata richiesta dal soccombente con ricorso basato su un motivo, poi illustrato con memoria.

L’INPS ha resistito con controricorso.

Disposta la trattazione della causa in Camera di consiglio, il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo il P., nel denunciare violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., nonchè vizio di motivazione, critica la sentenza impugnata per non avere valutato altri elementi, quali l’osservanza dell’orario di lavoro, la predeterminazione della retribuzione, necessari ai fini della qualificazione del rapporto, allorchè non emergano elementi univoci per accreditare il rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, e di non avere vagliato in modo adeguato le deposizioni di alcuni testimoni, ove erano stati specificati gli orari di lavoro di esso ricorrente.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. fra le tante, le sentenze 29 maggio 2008 n. 14371, 28 settembre 2006 n. 21028, Cass. 6 agosto 2004 n. 15275), ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e autonomo determinante è il requisito della subordinazione, da configurarsi come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale deve estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative, mentre altri elementi, quali assenza di rischio organizzativo d’impresa, la continuità della prestazione, la cadenza e la misura fissa del compenso, l’osservanza di un determinato orario, assumono invece valore sussidiario. E si è altresì rilevato che ai fini della suddetta distinzione è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in cassazione, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il Giudice del merito ad inquadrare il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema.

Nella specie, il Giudice di merito, senza escludere a priori la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra la società ed uno dei soci, purchè ricorrano determinate condizioni, e precisamente a) che la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale e b) che il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia (secondo il principio affermato da Cass. 11 gennaio 1999 n. 216, oltre che da Cass. 18 aprile 1994 n. 3650), ha tuttavia escluso, in considerazione degli elementi di fatto accertati, la sussistenza del vincolo della subordinazione.

In tal modo, per negare la sussistenza del rapporto di lavoro dipendente, il medesimo giudice ha utilizzato il criterio discretivo fondamentale, e nel contempo elemento qualificante, della subordinazione, e non sussiste perciò la violazione della norma di legge denunciata.

La Corte di merito ha pure adeguatamente motivato il proprio convincimento. Infatti, dopo avere richiamato l’assetto societario, evidenziando che amministratrici della società erano N.A. M. e L.A., coniugi rispettivamente del P. e di D.G. (altro socio che aveva agito in giudizio in analoga controversia, pendente in appello dinanzi alla stessa Corte territoriale), ha sottolineato, richiamando le risultanze delle prove testimoniali assunte in primo grado, la partecipazione dell’odierno ricorrente a riunioni periodiche, ogni quindici giorni, con le due amministratrici e l’altro socio D., per “fare il punto della situazione”, l’espletamento da parte del P. di mansioni amministrative di controllo e di supervisione dell’attività amministrativa ed anche commerciale della società, con i contatti con la clientela normalmente tenuti dallo stesso.

Il predetto Giudice ha pure rimarcato che a fronte di mansioni dichiarate di operaio specializzato, ma in realtà non specificate, il P. dava direttive al personale, controllandone l’attività, secondo quanto era emerso dalle deposizioni di alcuni testimoni.

Ed una volta esclusa la subordinazione per il rapporto di lavoro, restava superflua l’analisi dei criteri sussidiari indicati, relativi all’osservanza dell’orario di lavoro e alla predeterminazione della retribuzione, essendo tali elementi compatibili anche con la posizione del socio nell’ambito dell’azienda e nell’esercizio di un effettivo gestorio.

Di conseguenza non decisive si presentano le deposizioni, che si assumono pretermesse, dei testimoni D.C. e G., che hanno riferito dell’osservanza da parte del P. di un orario di lavoro coincidente con quello da loro espletato.

Infine, non può essere addebitato al giudice del merito di non avere indagato se la prestazione lavorativa del ricorrente non integrasse un conferimento previsto dal contratto sociale, l’onere di tale prova negativa incombendo alla parte, cui faceva carico di dimostrare la sussistenza del rivendicato rapporto di lavoro subordinato.

In conclusione, la sentenza impugnata deve andare esente dalle critiche formulate dal ricorrente e il ricorso deve essere rigettato.

Sebbene soccombente, il P. resta esonerato, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., dal pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

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